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CFS/SEID. Un farmaco alleverebbe i sintomi della stanchezza.
Scritto da Leonardo Debbia il 20.07.2015
In due studi clinici svolti in Norvegia, un farmaco, utilizzato solitamente nel trattamento del linfoma, pare abbia alleviato anche i sintomi della sindrome da stanchezza cronica (o CFS) in due terzi dei pazienti affetti da questa patologia.
Lo studio è stato quindi esteso ad un più ampio numero di ammalati, ma questi primi risultati già forniscono importanti indicazioni sulle probabili cause della sindrome, tuttora sconosciute, che affligge per anni coloro che ne sono affetti, con una spossatezza profonda e protratta nel tempo.
La CFS (Chronical fatigue syndrome) colpisce circa 2,5 milioni di americani e almeno 180mila australiani, ma è diffusa in molti altri paesi, compreso il nostro.
La difficoltà della diagnosi e le cure sperimentali costituiscono, al momento, limiti duri da superare.
Gli studiosi si sono battuti per definirne e concordarne i meccanismi che la definiscono; non ultimo il nome che, ritenuto troppo generico, è stato solo recentemente cambiato in SEID (Systemic exertion intolerance desease).
Purtroppo, fino a pochi anni fa, a molti ammalati veniva detto che ‘il problema è tutto nella testa’ e che avrebbero avuto soltanto bisogno di riposare meglio.
Negli Stati Uniti, solo da quest’anno questa sindrome ha finalmente ottenuto il riconoscimento formale di ‘malattia’ vera e propria.
Molti sono gli studi condotti in vari Paesi, ma questi ultimi del Haukeland University Hospital di Bergen, in Norvegia, presuppongono che questa condizione patologica coinvolga degli anticorpi.e gli autori ipotizzano che la CFS-SEID ‘potrebbe essere una variante di una malattia autoimmune’.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati su PloS ONE.
Le malattie autoimmuni sono prodotte dal sistema immunitario dello stesso paziente, che non funziona a dovere, attaccando i propri tessuti.
La sperimentazione ha preso il via da un farmaco, il rituximab, solitamente utilizzato per trattare sia l’artrite reumatoide che il linfoma non Hodgkin del sangue.
La meccanica del farmaco si esplica attraverso l’annientamento della maggior parte dei linfociti di tipo B del paziente, il tipo di globuli bianchi che produce anticorpi, ma che annienta anche le cellule sane.
Per la sua azione, viene utilizzato per il trattamento delle malattie caratterizzate da un numero elevato di cellule B iperattive o disfunzionali, consentendo in modo efficace di riavviare il sistema immunitario e fare in modo che cessi di attaccare l’organismo.
I ricercatori norvegesi hanno avuto l’intuizione di testare il farmaco per la prima volta nel 2004 su un ammalato con linfoma che era risultato anche affetto dalla sindrome di stanchezza cronica.
Sorprendentemente, il paziente aveva trovato sollievo in entrambe le patologie, come riporta il biologo-reporter Andy Coghlan su New Scientist.
Nel 2011, i ricercatori scoprirono che 10 pazienti di CFS su 15, cui era stato somministrato il rituximab, avevano riscontrato un netto miglioramento delle condizioni rispetto a quei pazienti del gruppo di controllo cui era stato somministrato un placebo.
Il team ha ora pubblicato su PloS ONE il risultato di una serie di controlli periodici su questi pazienti, ipotizzando che l’uso prolungato del farmaco possa mantenere una remissione della sintomatologia addirittura per anni.
Quest’ultimo studio ha coinvolto 29 ammalati di CFS cui è stato somministrato il rituximab per due settimane, facendo seguire richiami periodici per un anno.
18 di questi pazienti hanno riportato benefici e il miglioramento è andato avanti per tre anni consecutivi.
“In 11 di questi 18 i sintomi della malattia recedevano per tre anni dall’inizio del trattamento e alcuni riferivano la scomparsa della sintomatologia”, ha dichiarato al New Scientist il dott. Oysten Fluge, uno dei leaders dello studio norvegese.
Naturalmente questi studi hanno visto coinvolti numeri troppo esigui di pazienti per poter sapere se il farmaco possa essere utilizzato come cura per la CFS/SEID, ma ora si intende portare il numero dei partecipanti al test a 150.
“I benefici sono iniziati 4-6 mesi dopo la prima dose di rituximab, circa il tempo necessario perchè gli anticorpi esistenti fossero eliminati dall’organismo”, spiega Fluge. “In alcuni pazienti si è verificata una ricaduta dopo circa un anno, il tempo che le cellule B impiegano per ricrescere ed iniziare a produrre nuovi anticorpi”.
Si deve ancora capire quali tessuti siano presi di mira da questi anticorpi e che cosa spinga il sistema immunitario dei pazienti con CFS/SEID ad attaccare le proprie cellule.
Le risposte si potranno avere, affermano i ricercatori; ma non subito.
Il fatto decisamente positivo è tuttavia il riconoscimento avvenuto, dopo anni che i pazienti erano stati considerati dei malati immaginari.