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In Italia le farmaceutiche forniscono il 60% dei


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Inviato 27 settembre 2008 - 22:53:11

Aldo Ancona, direttore dell'Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Age.na.s).
Pubblicato su Va' Pensiero n° 361



In Italia le farmaceutiche forniscono il 60% dei finanziamenti per l'ECM.
Ma è indispensabile che l'industria si occupi della formazione del medico?


Leggi anche "La chiamavano ECM. Ma è marketing" qui:
http://www.cfsitalia...?showtopic=3340

Oggi quasi la totalità degli eventi sono sponsorizzati dall'industria sia farmaceutica che dei dispositivi medici. Un fatto in parte comprensibile perché se viene introdotto un prodotto o un dispositivo particolarmente innovativo è giusto che questo possa essere oggetto di eventi formativi. Tuttavia, nella mia esperienza, molto spesso gli eventi sono collegati a prodotti o dispositivi che non sono neanche così innovativi; quindi, la finalità è puramente di marketing del prodotto.
È un problema che esiste ed è stato rilevato a livello sia nazionale sia regionale; e la nuova ECM disegnata lo scorso anno dall'intesa Stato-Regioni va proprio nella direzione di cercare di liberare i processi formativi da questo vincolo. La strada che si dovrebbe percorrere va su due binari.

Ovvero?

Uno è quello della rimodulazione del raggiungimento dei crediti formativi tra le diverse forme e metodologie di formazione. Dai dati nazionali disponibili emerge che in alcune regioni il 90% della formazione si fa attraverso eventi e convegni per la maggior parte sponsorizzati dall'industria, mentre occorrerebbe arrivare ad una riduzione drastica di questa quota. Sarebbe quindi necessario privilegiare e potenziare forme diverse di formazione, a partire dalla formazione sul campo e quella a distanza, utilizzando e valorizzando tutte le attività che vengono costantemente svolte da professionisti, medici e non, nell'ambito dello sviluppo della qualità dei servizi (linee-guida, rischio clinico, il miglioramento della qualità e dell'organizzazione, ecc.).

E la seconda via?

Il secondo binario da percorrere è quello di una disciplina più attenta dei conflitti di interesse e delle sponsorizzazioni. Una linea d'azione che alcune Regioni stanno adottando con qualche difficoltà, ma che potrebbe essere presa in considerazione, è chiedere all'industria nella sua forma associativa nazionale (e non quindi alla singola azienda) di contribuire alla costituzione di un fondo per la formazione. All'industria andrebbe garantito uno spazio per la presentazione dei prodotti, ma sganciandola dell'evento formativo in sé.

Cosa ci guadagnerebbe l'industria?


Per l'industria, in ogni caso si tratterebbe di un'occasione, anche se non legata al momento formativo ma nell'ambito del evento/convegno, di contattare i professionisti. Già questo garantisce una forma di marketing. Poi, naturalmente, se ci fosse un prodotto innovativo comunque verrebbe presentato all'interno del processo formativo, ma includendo i pro e contro (non come oggi spesso accade con eventi monolaterali sia per la sponsorizzazione sia per la scelta dei relatori che hanno già sperimentato esclusivamente il farmaco e sono già orientati).
Poi l'industria professa sempre una disponibilità a contribuire ad un miglioramento del servizio che è proprio l'obiettivo dell'ECM. Dunque, può essere chiesto all'industria di dare un contributo cieco per partecipare allo sviluppo della qualità e, quindi, della formazione.

O, in alternativa, gli eventi sponsorizzati potrebbero costituire una quota regolamentata del totale dei crediti formativi...

Ancora non esistono proposte in materia, ma dei 50 crediti che un professionista deve acquisire solo una quota percentuale potrebbe derivare da eventi sponsorizzati. Una crescente quota dovrebbe essere riservata, oltre che alla FAD, alla formazione sul campo che, tra i diversi punti di forza, presenta un aspetto di grande rilevanza: il lavorare insieme ad altri. Molto spesso la formazione è mediata da capacità di lavorare in équipe, cioè di confrontarsi e comunicare con figure professionali di altre discipline e specialità, valorizzando i percorsi di attuazione delle linee-guida, i percorsi assistenziali e quelli di partecipazione agli audit clinici.

È pensabile l'uscita di scena dell'industria dai progetti di ECM che erogano crediti?Non basterebbe l'offerta pubblica?

Se quasi il 70% dei costi della formazione è sostenuto dall'industria, pensare di tagliarla fuori totalmente significherebbe anche rischiare di far cadere la formazione perché, con le difficoltà che ci sono, l'offerta pubblica potrebbe non reggere.

Spesso il medico non sa cosa deve fare e quale sia l'obiettivo dell'evento. Si è pensato a come risolvere la vaghezza degli obiettivi?

L'intesa Stato-Regioni dello scorso anno stabilisce un nuovo livello di governance. Inoltre, è stata rinnovata la Commissione nazione sull'ECM - il tutto con un notevole ritardo, seppure sembra che adesso si stia muovendo definitivamente - che deve affrontare diversi temi tra cui proprio quello del piano della formazione. Non sono esplicitati gli obiettivi formativi, perché non esiste un piano nazionale della formazione che dica, ad esempio, quali siano i settori strategici sui quali orientare le risorse. Ma nel piano formativo che ogni Regione e ogni Azienda sanitaria deve fare (i cosiddetti Piani Formativi Aziendali che sono quelli meno legati alla sponsorizzazione da parte dell'industria), si evidenziano e si stabiliscono gli obiettivi formativi, secondo gli obiettivi e i principi stabiliti a livello nazionale. Ormai la formazione è una competenza sempre più regionale, il livello nazionale è più di coordinamento sulle procedure e sui metodi, e di indirizzo sui principi generali e sugli obiettivi che si devono raggiungere. Poi spetta alle singole Regioni e alle singole Aziende tradurre questi aspetti in piani formativi concreti.

L'1% del bilancio dovrebbe essere investito in eventi formativi. Questo non avviene, perché?


Non ho visto dati attendibili ma sicuramente l'1% della disponibilità finanziaria non viene raggiunto se non in qualche Regione. Per quanto riguarda le motivazioni la risposta è banale: in un sistema sanitario in cui ogni euro costa fatica, nel senso che c'è una scarsità di risorse disponibili, si tende ad investire quel poco che si ha nei settori operativi più che in quelli formativi. In una situazione del genere è comodo accettare e delegare la copertura finanziaria all'industria e impegnarsi meno, perché altrimenti non ci sarebbero i soldi da investire nei servizi distrettuali, territoriali, ecc.

Questa ECM poi non lo si può negare è una scocciatura "quasi" per tutti?

Sì, c'è una sottovalutazione del processo formativo. L'ECM ha acquisito nel tempo la strana caratteristica di essere vista da tutti in modo negativo: i professionisti la vedono come una prestazione burocratica alla quale sono obbligati, le Regioni come una volontà del Ministero di tenere sotto controllo un processo che ritengono di loro competenza. Il Ministero ha messo in piedi una macchina organizzativa anche rilevante, ma tutta finalizzata agli accreditamenti degli eventi e dei provider e non allo sviluppo della formazione.

Perché solo 1 medico su 5 sceglie di partecipare all'offerta formativa indipendente dai finanziamenti dell'industria?

Più che scegliere a volte è costretto e il problema è nell'offerta formativa. Oggi è preponderante quella dei convegni. Il medico deve raggiungere un certo numero di crediti formativi (150 in un triennio, dunque una media di 50 crediti l'anno). Siccome ha l'obbligo professionale, anche se in realtà non è prevista nessuna sanzione, per raggiungere questo obiettivo si rivolge all'offerta che gli viene presentata. L'industria su questo fronte è molto attiva. Laddove le Regioni si sono impegnate e organizzano corsi di ECM, più di 1 medico su 5 sceglierà di partecipare all'offerta formativa indipendente. Tutto dipende dalla capacità di organizzare ed erogare formazione.

24 settembre 2008

http://www.pensiero....ID_articolo=709



VITTORIA
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